Antonino La Russa
Antonino La Russa è stato per anni professore di Filosofia e Storia nei Licei, dirigente scolastico e, dal 2000 al 2014, docente a contratto di Filosofia teoretica e di Filosofia della comunicazione nell’Università di Verona.
Le sue ricerche filosofiche hanno riguardato:
– il problema della conoscenza, con studi sul filosofo veronese Giuseppe Zamboni (vari articoli in volumi miscellanei e riviste specializzate, la cura di due inediti in Sei opuscoli zamboniani su Husserl, su Kant, sulla causalità, IPL, Milano 1990 e la riedizione dell’Itinerario filosofico, QuiEdit, Verona 2018);
– l’interpretazione di questioni di filosofia della scienza. In quest’ambito ha pubblicato Dal cielo antico all’universo macchina, Canova, Treviso 1994 (1995, seconda edizione), Dalla crisi del meccanicismo alla complessità, Canova, Treviso 1999, L’io nell’era tecnologica, QuiEdit, Verona 2006, Un’idea della filosofia, QuiEdit, Verona 2007, Lo scacco e la ripresa, QuiEdit, Verona 2009, Studi e ricerche galileiane, QuiEdit, Verona 2015.
Ultimamente ha pubblicato un romanzo a carattere storico, con protagonista il giovane Galileo nella Padova di fine Cinquecento: Il rosso è un colore, QuiEdit, Verona 2020.
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Il rosso è un colore
di Antonino La Russa
Chi era Galileo, quando ancora non era lo scienziato che conosciamo attraverso le immagini del processo del 1633 e della vecchiaia?
Nella Padova della fine del Cinquecento, egli è un giovane professore di discipline matematiche, che conquista una vasta platea di studenti, tanti amici ed estimatori; tuttavia, nello stesso tempo attorno a lui si vanno stringendo nemici mossi da invidia e fanatismo, i più torbidi impulsi umani. Ma perché, ora, accetta di entrare in una storia di latrocinio, delitti, congiure che toccano anche l’Università (lo Studio, come si chiamava allora) e lo Stato Veneziano, minacciato da pericoli esterni? Come riesce a trasformare una vicenda terribile in un’occasione di esercizio della prudenza e della spregiudicatezza, dell’ingegno e dell’astuzia, salvando la famiglia di un suo caro amico? E perché la sua vita si complica ulteriormente quando conosce Marina, la donna che gli darà tre figli e che anni dopo abbandonerà, per ritornare in Toscana?
Nella vicenda del romanzo, il gioco del verosimile emerge da uno sfondo storico ricostruito con notizie e linguaggi tratti da fonti conosciute (gli studi di Antonio Favaro, la descrizione della Padova del Seicento di Angelo Portenari, il poderoso epistolario galileiano, le commedie di Ruzante, per citarne alcune) e, poi, da inediti: un documento scoperto all’Archivio di Stato di Padova, dall’autore di questo romanzo, e pubblicato negli Atti dell’Accademia galileiana, altri inediti in fase di studio, e infine un manoscritto conservato presso la Biblioteca dell’Università di Padova
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Studi e ricerche galileiane
di Antonino La Russa
Vi sono degli interessi che accompagnano e riempiono una vita. La scintilla che li accende spesso scocca inaspettatamente e si manifesta attraverso ineffabili emozioni intellettuali.
Così è accaduto nella mia prima lettura del galileiano Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, lettura iniziata per obblighi di studio, preparando un esame di filosofia all’università, e terminata col proposito, allora indefinito, di onorare, nel mio piccolo, il grande scienziato pisano con studi e ricerche. Mi è sembrato che solo così potessi ripagare la luce che egli mi aveva fatto intravedere.
Poi, procedendo negli anni, mi resi conto che la biografia umana e intellettuale di Galileo Galilei è segnata da nodi che resistono all’opera della critica, sia per l’insufficienza dei documenti disponibili, che per la natura complessa della personalità di Galileo e del suo impegno storico-scientifico.
Cerco solo di accennarli, per darne un’idea a grandi linee.
Preferisco nodi, termine concreto e immaginifico, e non i termini più tecnici antinomie o contraddizioni, anche per una differenza semantica di non poco conto. Le antinomie e le contraddizioni si giocano in uno spazio concettuale dualistico, nei nodi, invece, i loro due capi sono costituiti dalla stessa materia. Ciò, secondo me, corrisponde meglio alla personalità di Galileo: egli vive in tensione per una volontà determinata a creare delle sintesi nella complessità della realtà naturale e umana, che ama profondamente e vuole ricomporre in un’unità razionalmente coerente.
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L’io nell’era tecnologica
di Antonino La Russa
“Non esistono fatti, solo interpretazioni” è questo un celebre aforisma nietzschiano che attacca il principio di realtà. Non esistono fatti che si presentino come realtà in sé, dotati di un valore assoluto per il quale possano imporsi rispetto ad altri fatti. Posta questa negazione, quelli che chiamiamo fatti in realtà sono tali soltanto per il soggetto che li enuncia, quindi sono solo interpretazioni. Com’è noto, questa prospettiva vuole aprire la possibilità di dichiarare il superamento dei valori tradizionali che nella cultura occidentale hanno svolto il ruolo di riferimento per distinguere il bene e il male. Così, parafrasando il titolo di una delle opere più famose del filosofo tedesco, “al di là del bene e del male” rimane solo la volontà di potenza che pone se stessa come principio di realtà.
Lo stesso aforisma, specialmente nella seconda parte, che riduce il mondo dei fatti a mondo di interpretazioni, significa anche che il senso dell’esistere del soggetto può ritrovarsi soltanto nella relazione con gli altri, quindi nella comunicazione e nel linguaggio. È nel campo ermeneutico dunque che bisogna cercarlo.
Qui però l’esperienza si presenta in una molteplicità di sensi, sia per i diversi ambiti di indagine scientifica, che coesistono secondo gli interessi specifici delle scienze, sia perché gli stessi fatti possono essere interpretati con intenzioni e metodi diversi e perfino opposti1.
In quest’ultimo caso è evidente che il campo ermeneutico si caratterizza per una conflittualità che richiede un superamento e una unificazione. Questo sforzo è stato da sempre la sfida che contraddistingue la filosofia.
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Lo scacco e la ripresa
di Antonino La Russa
Con una metafora che contiene un certo fascino si può dire che la vita è una partita, una partita ingaggiata dal soggetto vivente, per cercare di dare senso al proprio essere nel mondo. In questa condizione lo scacco, anche se rinvia alla sconfitta, è il segno vitale della ricerca. Finché si vive, lo scacco ha un significato relativo, perché il vivere ci riserva la possibilità della ripresa della ricerca.
La saggezza popolare esprime questa apertura alla possibilità della ripresa con il detto: “Finché c’è vita c’è speranza”. Chi lo pronuncia alza un po’ le spalle, come a far scivolare dietro di esse le preoccupazioni, e riprende a vivere la sua vita come prima, o quasi. Perché prima, come un’ombra, è passata l’idea che quella speranza ha un termine nella morte.
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Un’idea di filosofia
di Antonino La Russa
Il termine filosofia deriva da due parole greche, philos=amore-amico e sophìa=sapienza, dunque filosofia significa amore per la sapienza, filosofo colui che è amico della sapienza, perché l’ama.
Nel caso della filo-sofia, l’amicizia e l’amore sono rivolti verso la sapienza e non dovrebbe esservi nessun presupposto o pregiudizio contro. Tuttavia non di rado è capitato e capita anche ai filosofi di polemizzare (dal greco polemos=contesa, guerra), di contrapporsi con uno spirito di rigidezza che confina con la partigianeria. Talvolta si trovano contrapposte scuole filosofiche. Per esempio, ai primi del Settecento i seguaci di Leibniz polemizzano con quelli di Newton per il merito e la precedenza nella scoperta del calcolo infinitesimale.
In altri casi, istituzioni storiche e correnti filosofiche polemizzano contrapponendo le rispettive concezioni generali della realtà.
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Itinerario filosofico
di Giuseppe Zamboni (a cura di Antonino La Russa)
Come chiarisce il sottotitolo, Dalla propria coscienza all’esistenza di Dio, l’Itinerario filosofico di Giuseppe Zamboni (1875-1950) intende prendere in esame, in modo sistematico, le ragioni della trascendenza di Dio, fino a giungere al confine della possibilità di un assenso di fede. Un percorso di ricerca che l’Autore affronta “dal vivo” in un ciclo d’incontri tra l’autunno del ’46 e la primavera del ’47 e che pubblica nel 1948.
Ne scaturisce un’opera coinvolgente, perché Zamboni, in continuità con le sue ricerche, attraverso un’analisi dei processi conoscitivi sviluppa una rigorosa indagine gnoseologica, riuscendo a offrirci valide prospettive, e forti argomentazioni, nel campo dell’antropologia, dell’etica e della metafisica. Comincia da ciò che si presenta e si manifesta nell’immediatezza sensibile della vita della coscienza per individuare, attraverso gli atti funzionali dell’intelligenza e della volontà, l’esperienza delle oggettività
caratterizzate da differenti valori entitativi.Ciò che per il senso comune, e anche per tanti filosofi, è oramai scontato viene riscoperto in un’armonia in cui l’io, nell’autotrasparenza della consapevolezza di sé, dà vita a una nuova comprensione. In questo sfondo, il discorso su Dio si viene modellando come ricerca autonoma, tesa a cogliere gli elementi soprasensibili che possano rinviare, speculativamente, a un ente assoluto, capace di ridare senso alla realtà che, altrimenti, si dibatterebbe «nell’assurdo, nella tenebra e nel silenzio».
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